Mettete su fuoco vivace una padella con 5 cucchiai d’olio e lo spicchio d’aglio. Quando sarà ben caldo aggiungete le vongole, un goccio di acqua e coprite con un coperchio. Non appena le vongole si saranno aperte, spegnete la fiamma e rimuovete lo spicchio d’aglio.
Filtrate il liquido che avranno rilasciato le vongole in cottura e tenetelo da parte.
Mettete da parte anche le vongole e toglietele delicatamente dalle valve (lasciandone soltanto qualcuna per decorare il piatto).
Portate a bollore in una pentola abbondante acqua salata e lessate la pasta.
Nel frattempo, preparate il pesto di basilico frullando il basilico con i pinoli, l’olio e il liquido filtrato delle vongole.
Scolate la pasta al dente e mantecatela in padella con il pesto e un mestolo di acqua di cottura.
Non appena l’acqua si sarà ritirata (lasciando il posto ad una deliziosa cremina), aggiungete le vongole, mescolate ancora qualche istante e poi…. Correte a divorarla! 😊
Chi viene a visitare Roma non può andar via senza aver mangiato una CARBONARA 🤤
E proprio per questo non potevo non inserirla nella guida gastronomica che ho scritto per Hilton Hotels!
Sulle sue origini ci sono molte leggende più o meno fantasiose e le circostanze della sua nascita sembrano essere misteriose.
Alcuni fanno risalire la nascita del piatto all’immediato dopoguerra e all’arrivo dei Soldati Americani durante la seconda guerra mondiale. Pare che questi fecero conoscere ai Romani la polvere d’uovo e il bacon, ingredienti che sapientemente utilizzati per condire la pasta, insieme al pecorino, avrebbero dato vita ad un vero capolavoro.
Altri sostengono che i soldati ebbero l’opportunità di assaggiare e affezionarsi alla tipica pasta “Cacio e ova” abbruzzese. Fu naturale, almeno secondo quanto si narra tra realtà storica e leggenda, aggiungere il guanciale, tipico della zona, e eventualmente la pancetta affumicata importata proprio dagli Stati Uniti.
Erano i sapori che ricordavano “casa” agli americani, ma ciò non impedì ai romani, una volta scoperta la ricetta, di far propria la carbonara, che è stata letteralmente adottata al punto che oggi nessuno oserebbe metterne in dubbio la paternità geografica.
L’origine e la storia della carbonara non spiegano, però, per quale ragione le venne dato proprio questo nome.
La tesi più plausibile è quella che narra che il nome faccia riferimento ai boscaioli che lavoravano sugli Appennini raccogliendo la legna per farne “carbone”. E questo spiegherebbe anche perché, proprio per ricordare il carbone, alla ricetta fu aggiunto il pepe nero.
La carbonara, quindi, potrebbe non essere una ricetta 100% italiana, ma quando si entra nel merito degli ingredienti immancabili, è qui che il made in Italy e la tradizione riemergono prepotentemente dalla storia per sedare tutte le diatribe.
In primo luogo è importante ribadire e riaffermare che la vera carbonara si prepara con il guanciale, tagliato a listarelle e fatto cuocere (senza aggiunta di grassi) finché non diventa leggermente croccante. Se avete intenzione di utilizzare della pancetta affumicata, non ditelo mai ad un romano!
Gli altri ingredienti sono:
– 1 tuorlo d’uovo a persona (+ un uovo intero);
– il pecorino grattugiato, meglio se romano DOP,
– il pepe nero.
Divieto assoluto, su cui gli esperti sono tutti concordi, per l’aggiunta della panna.
Le regole per preparare la carbonara perfetta precisano, inoltre, che la pasta dovrebbe essere lunga: quindi via libera a bucatini, spaghetti e tonnarelli.
Al di là della essenzialità degli ingredienti e della rapida esecuzione, fare una carbonara a regola d’arte non è semplice. Ai fini della perfetta riuscita, è importante il tempismo nei vari passaggi e una buona dose di prontezza nell’operare.
È lui stesso a tirare la pasta, a selezionare le materie prime e a sfoggiare la sua ottima tecnica e il suo innato talento per dar vita alla vera e propria Carbonara perfetta.
Sbucciate le patate e tagliatele a dadini. In una pentola dai bordi alti fate scaldare un bel giro d’olio e, non appena sarà caldo, aggiungete i dadini di patata. Lasciate rosolare qualche istante e aggiungete un mestolo di acqua calda. Non appena l’acqua si sarà ritirata, aggiungetene dell’altra e andate avanti così fino a che la cottura non sarà ultimata (ci vorranno all’incirca 20 minuti). Al termine della cottura frullate completamente le patate fino a che non avrete ottenuto una crema.
Nel frattempo, tagliate a striscioline le seppie. In una padella fate scaldare un giro d’olio e fate imbiondire uno spicchio d’aglio. Non appena si sarà dorato rimuovetelo con l’aiuto di un cucchiaio e aggiungete le seppie insieme a qualche fogliolina di menta. Fatele rosolare un paio di minuti e aggiungete il vino. Fatelo sfumare e, non appena la parte alcolica sarà evaporata completamente, spegnete la fiamma e mettete da parte.
In una pentola portate a bollore abbondante acqua salata e lessate la pasta. Scolatela al dente e finite la cottura nella crema di patate. Per ottenere una cremosità perfetta, nella fase della mantecatura dovrete aggiungere ripetutamente acqua di cottura della pasta (un poco alla volta) perché come vedrete le patate tenderanno ad assorbirne parecchia.
Ad un minuto dal termine della fase di mantecatura aggiungete le seppie. Mescolate ancora qualche istante, spegnete il fuoco, aggiungete qualche granello di sale rosa per decorare e….buon appetito!! 😊
Quando Hilton Hotels mi ha chiesto di redigere una guida gastronomica di Roma, la prima domanda che mi sono posta è stata “quali sono i piatti tipici che chi viene a visitare la Capitale dovrebbe assolutamente assaggiare??” 🤤
Il supplì al telefono è sicuramente il primo che mi è venuto in mente e oggi vi dico dove secondo me dovreste andare a mangiarlo 🤤
A proposito di supplì, ma voi lo sapevate che lo street food è nato proprio a Roma??
Nell’antica Roma, infatti, mangiare cibo di strada era un’attività molto più diffusa di quanto lo sia oggi. Molti cittadini dell’Impero non avevano la cucina in casa e la città brulicava di viaggiatori provenienti dalla Penisola e dai territori controllati per cui le “thermopolia”, le “popinae”, le “cauponae” (ossia quelle che oggi chiameremmo “trattorie”) e le friggitorie erano disseminate in tutta la città ed erano sempre molto affollate.
A quei tempi uno dei cibi più in voga fra le bancarelle che vendevano cibo da consumare per strada c’era la salsa di pesce salata e fermentata. Oggi, fortunatamente, questo piatto non fa più parte della nostra tradizione culinaria, ma in compenso il “supplì al telefono” si trova ad ogni angolo della città.
Il suo nome deriva dal francese “surprise”, cioè sorpresa. I soldati francesi che erano a Roma a inizio Ottocento, infatti, lo chiamarono così perché scoprirono che aprendolo c’era davvero una sorpresa: un filo di mozzarella lunghissimo e filante che ricordava appunto la cornetta di un telefono.
Per gli stranieri doveva essere un’esperienza davvero indimenticabile. Si pensi infatti che addirittura James Joyce, intervistato 20 anni dopo la sua lunga permanenza romana, ricordava con nostalgia le friggitorie dove i supplì erano consegnati bollenti in un rustico cartoccio.
Questa palla di riso fritta è la vera regina della cucina di strada capitolina e, grazie alla facilità di essere preso fra le dita, impazza in aperitivi a buffet, cocktail e party. Ormai se ne trovano di tutti i tipi: alla carbonara, alla amatriciana, vegetariani, etc etc.
Voi non importa quale scegliate, l’importante è che lo prendiate da Supplizio.
Questa friggitoria gourmet si trova nei pressi della famosa via Giulia: qui, al numero 85, potrete ancora oggi vedere la casa che fu di Raffaello.
Supplizio, allestito come se fosse un salotto di casa, nasce dal desiderio dello Chef Arcangelo Dandini di risvegliare le antiche abitudini dei romani.
Oltre al supplì, che troverete in numerose versioni, l’offerta gastronomica del Supplizio comprende molti altri prodotti fritti, come le crocchette di patate affumicate e i croccanti di baccalà.
Tutti gli ingredienti sono di primissima qualità e, ciliegina sulla torta, potrete persino acquistarli e riportarli a casa! 🤤🤤
Sarà che San Valentino è alle porte, ma io di questo piatto di chitarra Pasta Armando con crema di cavolo nero, gamberoni rossi e scorza di arancia mi sono proprio innamorata!!
Cominciate preparando la bisque: sgusciate i gamberi, avendo cura di mettere da parte testa, gusci e succo che esce fuori durante la pulizia.
In un pentolino fate soffriggere lo scalogno affettato sottilmente e, non appena risulterà dorato, aggiungete le teste e i gusci dei gamberi.
Lasciate soffriggere per qualche minuto a fuoco moderato e aggiungete il vino bianco. Fate sfumare a fiamma vivace e, quando l’alcool sarà evaporato, aggiungete 2 bicchieri di acqua
Coprite il pentolino, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per circa 45 minuti. Se trascorsa mezz’ora l’acqua dovesse essere evaporata aggiungetene un altro mezzo bicchiere.
Al termine della cottura filtrate il liquido rimasto e tenete da parte.
Nel frattempo tagliate a pezzettini i gamberoni e metteteli a marinare con un giro d’olio e una spruzzata di arancia per circa 30 minuti.
In una padella capiente mettete 4 cucchiai di olio e lo spicchio d’aglio. Fatelo imbiondire, rimuovetelo e aggiungete il cavolo nero pulito, lavato e asciugato bene. Aggiungete un pochino d’acqua e fatelo appassire per una decina di minuti.
Una volta che il cavolo nero si sarà intenerito, prelevatene la metà e frullatela a crema (aggiungendo acqua se la crema dovesse risultare troppo densa).
Portate ora a bollore in una pentola abbondante acqua salata e lessate la pasta. Scolatela al dente direttamente in nella padella nella quale avrete fatto cuocere il cavolo, aggiungete la crema e la bisque per completare la cottura.
Non appena la bisque avrà lasciato il posto ad una deliziosa cremina, spegnete la fiamma. Scolate i gamberi dalla marinatura, aggiungeteli alla pasta, aggiungete anche una grattugiata di arancia e… preparatevi ad innamorarvi di questa pasta